Siamo in primavera. Strano a dirsi con questo tempo,
ma è così. È un dato inequivocabile. Certo non è il caso di parlare delle
condizioni metereologiche, perché non spetta a me farlo. Pur essendo consapevole
che la pioggia per un napoletano è un fatto insopportabile. Soprattutto in
questo periodo, dove molti partenopei già desiderano spogliarsi dei cappotti e
andare al mare. Ma lo faranno presto. Al primo raggio di sole,
indipendentemente dai gradi. Per il napoletano medio è così. Io non faccio testo
perché ho sempre sofferto il freddo. Chi non ha questo problema, non potrà mai
capire che, per quelli come me, il disgelo inizia a maggio. Tuttavia non voglio
scrivere di ciò.
La primavera va osservata anche e soprattutto come una condizione esistenziale. Senza entrare in cavillose questioni accademiche e lessicali, essa dovrebbe rappresentare una rinascita. Per ognuno di noi. Nessuno escluso. Dovrebbe essere la possibilità di guardare il mondo con occhi nuovi. Di lasciare il vecchio sé alle spalle e riporlo nell’armadio. Di decidere di cambiare. Non il mondo, perché tanto non cambia. Ma noi stessi. Bisogna trasformare il modo che abbiamo di osservare la realtà. Solo così saremo capaci di accettare il nuovo.
La primavera va osservata anche e soprattutto come una condizione esistenziale. Senza entrare in cavillose questioni accademiche e lessicali, essa dovrebbe rappresentare una rinascita. Per ognuno di noi. Nessuno escluso. Dovrebbe essere la possibilità di guardare il mondo con occhi nuovi. Di lasciare il vecchio sé alle spalle e riporlo nell’armadio. Di decidere di cambiare. Non il mondo, perché tanto non cambia. Ma noi stessi. Bisogna trasformare il modo che abbiamo di osservare la realtà. Solo così saremo capaci di accettare il nuovo.