Quello che negli ultimi giorni riempie la vita del
sottoscritto è la costante presenza della modulistica per la scuola. Dalla
domanda per l’inserimento in terza fascia (le supplenze insomma), fino ai
moduli per l’improbabile test preselettivo del tfa (l’abilitazione). Lo faccio
controvoglia, lo ammetto. Ma nessuna possibilità va esclusa. Soprattutto oggi,
soprattutto per noi trentenni.
Non immaginavo però una serie di cose che ho visto e
vissuto in questi giorni. Sono grottesche. Fanno ridere. Ma il sorriso è nero.
Molto nero.
Innanzitutto è bizzarro che, a chi ha un dottorato,
la legge italiana non dia nessun beneficio, se non dodici punti in più. Tre
anni di ricerca e didattica universitaria non servono praticamente a nulla. Perché
se per legge ogni dottorando è tenuto alla didattica universitaria, per quella
stessa legge non può insegnare a scuola, né può considerarsi già abilitato.
Nonostante sia vincitore di un concorso di livello superiore e nonostante,
paradossalmente, abbia insegnato in varie forme all’università. Non voglio
estendere il discorso alle pubblicazione scientifiche internazionali, perché
quelle non vengono neanche considerate. Nemmeno un punto. Già! Un poverino che
porta avanti la ricerca, da cui nasceranno i futuri docenti scolastici, che ne
può sapere di come si insegna? Quello che conta sono i punti! E anche la
patente europea per il computer. Che… scherziamo?! Per la legge sono queste le
cose importanti che danno punti! E come me, in questa situazione, si trovano
centinaia di persone.