Il post odierno
è molto più riflessivo del solito. Ha un sapore quasi filosofico, per quanto mi
tenga ben lontano da categorie del pensiero così complesse e stratificate.
La crisi è un
dato di fatto innegabile. Ha investito tutto e tutti e come un grosso Leviatano
non ha risparmiato quasi nessuno. Anche se non mancano persone che con la crisi
ci sguazzano e giocano talvolta col bisogno delle persone. Ma non è questo
l’oggetto del post. Io credo ci sia ben altro all’interno del momento che
stiamo vivendo. Forse assai meno evidente, talvolta impercettibile. Ma è così.
La storia ha
ampiamente dimostrato che dentro ogni crisi fermentano dei piccoli semi di
rinascita. Embrioni di novità e di svolta che, senza un momento di vuoto,
sarebbero privati di quel periodo di incubazione, necessario alla vita. Nel
frattempo però la recessione continua a mietere vittime. Persone che compiono
gesti insani per le difficoltà cogenti sono all’ordine del giorno, purtroppo.
Maledettamente. Tuttavia la crisi ha anche un aspetto sociale diverso e forse
ancora più pubblico. La diffusione in rete. Fatto assolutamente nuovo e
sconosciuto a tutti i periodi critici che ci hanno preceduto. Oggi attraverso internet
non solo si spettacolarizzano in qualche modo le difficoltà delle persone, ma
si assiste anche ad una diffusione delle richieste di aiuto e similia. Questo
fatto consente più o meno a tutti di cercare una mano tramite il web. Sempre
secondo indole e coscienza personale, è chiaro.
All’interno di
questo fenomeno si annida un altro fatto degno di attenzione. Prima di
esaminarlo va aggiunta la precisazione che la crisi ha prodotto, fra le altre
cose, l’idea di doversi inventare un lavoro. Soprattutto fra i giovani. Ecco allora
che spuntano in rete foto, immagini, video, blog, giornali on line e chi più ne
ha più ne metta. Tutti pubblicizzano se stessi e i loro prodotti. Anche coloro
che talento non ne hanno. Vista la scomparsa di un lavoro retribuito e classicamente inteso, tutti ne inventano uno.
Nascono stilisti, cuochi, grafici, fotografi. Insomma chiunque si può mettere
sul mercato. Indipendentemente dal percorso pregresso e dalla effettiva
competenza. Così si assiste alla mostra dell’approssimativo. Quante volte ci
siamo imbattuti in persone sui social che pubblicizzavano i loro prodotti fra gli
amici? Magari anche con semplici foto? E quante volte prodotti suddetti erano
impresentabili?
Insomma la crisi
parrebbe funzionare come una sorta di livella, che mescola buoni e cattivi,
talentuosi e non. Ognuno può inventarsi un mestiere, pur non avendone
competenza alcuna. Ma una condizione del genere porta in sé una sorta di
paradosso teorico: anche chi non sa fare niente potrebbe avere successo. Perché
impropriamente gode di quell’incubazione del nuovo di cui sopra. E grazie ad
essa esce fuori da una crisi che ancora ci ammazza. E i buoni? Anche loro
devono inventarsi un mestiere, ma magari non sanno farlo. Saranno quindi
condannati a restare nell’ombra o nella disoccupazione. Perché oggi i social
sono la chiave di accesso al mondo. Ma tutto ciò altro non è che l’ennesima
faccia di un momento storico buio, che tende a falcidiare le sue risorse
migliori.
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