martedì 29 agosto 2017

Lettera di un professore ai suoi alunni

Nella vita di ogni professionista capita di dover cambiare sede di lavoro. Se però capita a un professore, questo significa lasciare i propri alunni. E, credetemi, quando si lavora con un materiale umano così permeabile e autentico nei sentimenti gli arrivederci non sono mai semplici. E così, nel salutare i miei alunni, ho scritto loro una breve lettera, che voglio condividere con voi, amici e lettori.


Cari Ragazzi,
mi ritrovo a scrivere nel silenzio della mia stanza. Avrei voluto scrivervi da un po’; ma sono ormai diversi mesi che il tempo mi scivola fra le mani come uno spietato carnefice. 
Quando qualche anno fa pensavo all’idea di insegnare a scuola, ne ero disgustato. Mi sembrava la più crudele delle punizioni. L’ultima spiaggia dell’esistenza. Mi pareva un’alternativa a cui non avrei mai dovuto dar spazio. Ma poi la vita ci cambia e come spesso accade, lo imparerete, ci porta proprio per le strade che mai avremmo voluto percorrere. E così un bel giorno mi sono trovato dietro a una cattedra, con poca voglia e con la rabbia dei mie sogni infranti. Avrei voluto fare altro e proprio non c’era verso di dimenticarlo. Anzi ogni istante sembrava che lo ricordassi con tanta più forza di quanta ne usassi per pensare ad altro. 
Venivo da anni di lezioni universitarie e in fondo non ho mai saputo i nomi di coloro ai quali facessi il corso o l’esame. E dopotutto neanche mi interessava. Facevo ricerca, mi ripetevo di continuo. Come se quasi giustificassi a me stesso quei volti tutti diversi, eppure tutti uguali nel loro anonimato, a cui mi rivolgevo. Erano simpatici? Può darsi. Avevano dei drammi e delle sofferenze da alleviare? Forse sì, forse no. Non mi interessava. Il mio lavoro era un altro. E certe informazioni a cosa sarebbero servite? Mi parevano inutili lungaggini a cui non ero mio compito dar credito. 
Poi un giorno, come vi dicevo, mi sono trovato a scuola. E questa scuola era la vostra, e questi ragazzi eravate voi. Ci siamo detti diverse volte che i primi giorni non sono stati ‘meravigliosi’. Ma in fondo, quale prima volta lo è?
A un certo punto i vostri volti sono diventati dei nomi, poi delle persone, dei sorrisi, delle storie, delle gioie, dei dolori. A un certo punto qualcosa è cambiato. 
Per molti giorni ho portato dentro di me la lacerazione di dover essere un professore come lo erano stati i miei. Tutti. Ma poi sentivo di mettere una maschera più atroce di una tortura. Perché dovevo essere chi non sentivo di essere. E allora ho pensato che dopotutto ognuno fa il professore un po’ come gli viene. E a me veniva nell’unico modo che avete conosciuto. E in quel modo io sono stato con voi. E in quel modo vi voglio bene. E in quel modo vi porterò nel cuore. 
A dire il vero è proprio a essere in quel modo che ognuno di voi mi ha insegnato qualcosa. Perchè, vedete, la vera sfida dell’insegnare è imparare ogni giorno qualcosa. La vera sfida dell’insegnare è avere la curiosità di andare incontro ai ragazzi e conoscerli, apprezzarli. In fondo la vera sfida è sfondare uno sterile muro per riscoprirsi uomini e donne tutti insieme. Ognuno con la propria ricchezza. Ognuno col proprio dono. Ognuno con la propria cicatrice. Stando con voi ho capito che bisogna insegnarvi la capacità di emozionarsi, la forza di non mollare, l’intelligenza di andare avanti sempre e comunque, la fiducia in voi stessi, il desiderio di essere persone migliori. Bisogna insegnarvi ad avere fame di vita, di respirare questa vita a pieni polmoni anche quando fa male. Perché il vero insegnamento è insegnarvi ad essere leggeri e consapevoli di fronte ai drammi che la vita riserva ad ognuno di noi. Siate rocce, siate piume, siate giovani sempre. Che i vostri occhi conservino la gioia dei vostri anni, la gioia che ogni giorno mi insegnate e che in fondo non imparerò mai. 
Grazie per tutto quello che mi avete insegnato senza saperlo. Grazie per avermi accolto in un modo meraviglioso. Grazie perché davvero non vi dimenticherò. Grazie perché oggi credo che fare il professore sia stato il regalo più bello che la vita mi abbia fatto. Grazie perché è con voi che ho capito che sceglierei la scuola altre cento e mille volte. Grazie per aver camminato con me durante quest’anno. 
Una lacrima riga il volto e bagna le labbra.
Vostro, Luca.

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