Essere un artista non è semplice. Ma se al tempo
stesso si è anche intellettuali la cosa si complica ulteriormente. Questa
singolare condizione se da un lato rappresenta un’ottica privilegiata da cui
guardare i fatti, dall’altro porta ad una sorta di tristezza straniante
rispetto alla realtà osservata. È questo il caso di chi esamina la situazione
della danza a Napoli. Da ballerino mi sono spesso interrogato sull’utilità di
parlare dell’autarchia locale in cui la disciplina coreutica versa. Ormai
numerosi programmi televisivi hanno diffuso la conoscenza della danza e dei
suoi meccanismi presso il grande pubblico, che troppo spesso si sente investito
di capacità critiche e di giudizio per il solo fatto di ‘aver visto in tv’.
Eppure questo non è certo l’aspetto più problematico su cui occorre porre
l’accento. Più di una volta, con altri colleghi ballerini ci siamo domandati
fino a che punto a Napoli esista una cultura della danza. Non è forse una vera
a propria sottocultura?
Occorre partire dalla considerazione che in Italia
la legge sull’insegnamento delle arti è piuttosto complessa da interpretare. In
buona sostanza e senza entrare in cavillose lungaggini normative, non è facile
riconoscere legalmente un vero e proprio maestro d’arte. Bisogna aggiungere poi
che fino a qualche tempo fa la Campania registrava il più alto numero di scuole
di danza di tutta Italia. È dunque verosimile ritenere che i dati appena
riportati siano due aspetti della stessa medaglia. Insomma Napoli brulica di
scuole di danza, che hanno come unico obiettivo quello di formare, bene o male
che sia, giovani leve all’arte coreutica. Ognuna con le sue specificità,
seppure in un mercato sempre più ingolfato. È evidente che per un povero
genitore che vuole iscrivere un figlio la scelta si fa quanto mai ardua,
soprattutto se si sa poco o nulla della disciplina in oggetto. Ed è qui che
nasce una sorta di mercato parallelo della danza. Eccezion fatta per i centri realmente
qualificati, che per fortuna esistono. È ovvio.
Col tempo a Napoli si è venuto a creare un vero e
proprio microcosmo artistico che talvolta spaccia la finzione per realtà e che
porta, genitori e figli, alla sindrome del re Lear. La parte della città
coinvolta prende parte ad un grande gioco di ruolo, che finisce talora per
coincidere con l’unica realtà conosciuta. Non mancano sedicenti figure
professionali che vendono il loro prodotto come killer a sangue freddo. Ma
spesso tale prodotto non è molto diverso dal vecchio pacco dell’autoradio alla
ferrovia. Chissà perché infatti ogni figuro del mondo della danza ha un
illustre passato artistico da sciorinare a suo favore. Pare che tutti i
napoletani coinvolti in questo grande carrozzone abbiano al loro arco una
vecchia e gloriosa fama da rivendere. O sarà il quarto d’ora di celebrità di
Andy Wharol? Si fa leva insomma su sogni e aspirazioni per alimentare un
mercato economico dalle proporzioni inverosimili. Dai costosissimi stage con
maestri di fama internazionale ai saggi di fine anno. E tra le ultime novità i
corsi di formazione all’insegnamento. Ma nella nostra città nessuno si piglia collera, come si dice
in pretto vernacolo. Sullo spettacolo che la danza mette in scena infatti prendono
vita una miriade sterminata di figure professionali. In primis bisogna menzionare
i ballerini coinvolti, alcuni dei quali esperti proprio in saggi. Poi vanno
ricordati il costumista, il fotografo e addirittura il negozio di bomboniere
per il diploma. Ebbene sì le scuole rilasciano un cosiddetto diploma. Ma quanti
di questi sono realmente riconosciuti dalla legge? Ciò non conta. Ormai tutti
coloro che arrivano al diploma sono troppo avviluppati al sistema per capire
dove sia la verità. Forse neppure la vogliono sapere. Per molte persone il
diploma è un giorno di festa, un vero e proprio matrimonio della tradizione
neomelodica. Si festeggia, si aprono ampi buffet e si invita la famiglia. E se
pure hanno comprato un sogno non importa, loro figlio/a per una notte è stato/a
la star. E domani è un altro giorno. Anzi no! Domani bisogna frequentare il
corso per “abilitarsi” all’insegnamento.
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