Mi ritrovo a
fare un piccolo bilancio del 2014 quasi in calcio d’angolo. Avrei voluto
scriverlo prima, ma in questi giorni ho lasciato spazio agli amici. E così mi
ritrovo, a poche ore dal cenone, in camera mia a scrivere. Sarò rapido, magari
trascurato e metterò insieme pensieri sciolti. Ma tant’è. Mi andava di
condividere prima della fine dell’anno qualche riflessione.
Negli ultimi
giorni ho a lungo pensato a cosa abbia rappresentato per me l’anno che sta per
concludersi. Venivo da un 2013 complicato e difficile. Un anno buio e
graffiato, pieno di cicatrici ormai indelebili. Speravo quindi in un anno
migliore. Lo è stato? Mi ci sono interrogato a lungo e alla fine mi sono reso
conto che si è creata una situazione davvero bizzarra. Vi giuro, mai capitata.
In genere ci sono anno migliori e anni peggiori. Il mio 2014 invece è stato
caratterizzato da un singolare equilibrio. Mi spiego. Mi sono capitate cose
terribilmente brutte, atroci e difficili che mi hanno spiazzato. Mi hanno quasi
lasciato senza fiato per la sofferenza cruda e atra in cui mi hanno buttato. Un
dolore così profondo che quasi non credevo possibile. Poi, d’un tratto, la
luce. Sono avvenuti fatti così belli e inaspettati che quasi non li credevo
possibili. Dopo tutto quel buio avevo quasi paura a guardarli in faccia. Avevo
quasi terrore a pronunciarli. Temevo di romperli, come i più delicati dei
fiori. Una tenebra profondissima a cui è succeduto il calore dell’inaspettato e
del terribilmente bello. Così oggi mi trovo a pensare: come è stato questo
2014? Non lo so, davvero non lo so. La sua stranezza è tutta qui, in questo
assurdo equilibrio di contrari, crudi e terribilmente forti allo stesso tempo.
Mi riservo un
ultimo cantuccio per la terribile domanda: che fai a capodanno? La odio e non
perché odi il capodanno; ma perché le idee sono sempre le stesse. Nell’ordine:
andare per strada, ghiacciarsi e festeggiare nel traffico per raggiungere il
centro città; la selezionatissima villa privata in cui ci si ritrova in
cinquemila; il locale talmente affollato in cui non ci si muove, ma “abbiamo
spaccato” (tanto nessuno saprà mai della folla biblica modello fuga in Egitto);
a casa di amici a giocare, dove alla cinque del mattino si finisce stramazzati
sul divano tremanti per il freddo e la mancanza di sonno. Si dice che se rimani
a casa poi sei “tristissimo”. Forse sì, ma gli altri non mi paiono messi
meglio. E così nel mio modo un po’ cinico e divertito mi ritrovo a fare a tutti
i miei lettori i migliori auguri. Come diceva sempre mia nonna “Buona fine e buon
principio”!
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