A tutti noi purtroppo è capitato di perdere una
persona cara. È inevitabile. Eppure c’è una cosa peggiore del lutto stesso: le
visite di condoglianza. Esse sono un modo per dimostrare affetto e vicinanza.
Va bene, bisogna ammetterlo. Ma va pure detto che hanno un correlato tutt’altro
che piacevole.
Quando facevo ricerca ero terribilmente affascinato
dalle usanze funerarie. Erano tutte diverse e ricche di fascino antropologico.
Ma oggi no. Non più. Oggi mi sono reso conto che l’umanità vera è ben altra
cosa. Non è un concetto teorico o una ideologia. L’umanità è qualcosa di
concreto e terribilmente vibrante. Non va studiata come fatto empirico. Ma va
compresa, vissuta, osservata e perfino aiutata.
Ad ogni modo è possibile che dopo la perdita di un
caro ci si ritrovi la casa piena di amici, parenti, conoscenti e gente quasi
mai vista. Per giorni dopo la morte siamo costretti a rivivere quel tragico
momento e a raccontarlo. Almeno tante volte quante sono le visite che
riceviamo. Il che non è proprio bellissimo. Senza considerare che almeno qui a
Napoli e dintorni c’è l’usanza di portare zucchero, caffè, dolci e biscotti. E
chi più ne ha più ne metta. Vero è che la visita di condoglianza può rivelarsi
un vero e proprio supplizio sia per chi la fa, sia per chi la riceve. Frasi
come è un modo per dimostrare la
vicinanza oppure dobbiamo andare,
sono espressioni consuete per giustificare questa prassi. Insomma siamo
talmente presi dal cosa va fatto, che nemmeno ci preoccupiamo se queste visite
fanno piacere a qualcuno. Noi compresi. Spesso
finiscono per essere pura forma priva di contenuto. Una semplice pratica
senza anima. Inutile dire che in simili occasioni le frasi fatte si sprecano.
Siamo talmente preoccupati di assecondare l’usanza sociale, che poco badiamo ai
reali sentimenti di chi ci sta attorno. Forse a volte farebbe piacere
condividere il dolore solo con chi lo ha vissuto davvero, fra quatto mura
all’ombra. Viverlo nei silenzi solitari di pochi intimi, che davvero ci
comprendono ed empatizzano col nostro lutto.
Forse l’unica maledetta verità è che non sappiamo
mai come comportarci di fronte alla sofferenza.
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