giovedì 27 marzo 2014

Primavera

Siamo in primavera. Strano a dirsi con questo tempo, ma è così. È un dato inequivocabile. Certo non è il caso di parlare delle condizioni metereologiche, perché non spetta a me farlo. Pur essendo consapevole che la pioggia per un napoletano è un fatto insopportabile. Soprattutto in questo periodo, dove molti partenopei già desiderano spogliarsi dei cappotti e andare al mare. Ma lo faranno presto. Al primo raggio di sole, indipendentemente dai gradi. Per il napoletano medio è così. Io non faccio testo perché ho sempre sofferto il freddo. Chi non ha questo problema, non potrà mai capire che, per quelli come me, il disgelo inizia a maggio. Tuttavia non voglio scrivere di ciò. 
La primavera va osservata anche e soprattutto come una condizione esistenziale. Senza entrare in cavillose questioni accademiche e lessicali, essa dovrebbe rappresentare una rinascita. Per ognuno di noi. Nessuno escluso. Dovrebbe essere la possibilità di guardare il mondo con occhi nuovi. Di lasciare il vecchio sé alle spalle e riporlo nell’armadio. Di decidere di cambiare. Non il mondo, perché tanto non cambia. Ma noi stessi. Bisogna trasformare il modo che abbiamo di osservare la realtà. Solo così saremo capaci di accettare il nuovo.
La primavera deve essere la possibilità che diamo a noi stessi di accogliere la gioia del nuovo che si fa spazio, del diverso, del cambiamento. La gioia dell’amore. La primavera in fondo è amore. L’amore di cambiare tutto e di essere nuovi. Solo così potremo accogliere la rinascita che è insita nel concetto stesso di questa stagione della vita. Soprattutto oggi. Soprattutto con la crisi. Soprattutto noi trentenni. Per non essere sempre la generazione bruciata dalla storia. Ma per essere la generazione capace di risorgere da quelle ceneri che ci hanno annerito il futuro. Perché siamo capaci di andare oltre la distruzione. Lo dobbiamo a noi stessi.

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