Già in altri post mi sono occupato di alcuni delle
difficoltà relative all’essere un artista. È chiaro che le questioni sono tante
e non possono essere trattate tutte in maniera esaustiva. Tuttavia c’è un
problema grosso e importante che va affrontato: la retribuzione. Cioè la paga
che deve essere corrisposta ad un artista di professione. E non voglio certo
riferirmi ai problemi nazionali, legati ad uno stato o ad una classe politica
che investe poco e male sulla cultura o sui teatri. Voglio parlare della
mentalità delle persone. Un problema ancora più grande e cogente. Perché indica
un radicamento sociale di certe abitudini. Una cattiva educazione mentale al
concetto stesso di arte. Un problema dell’intera società, che noi artisti viviamo
con pungente realismo, fino a pagarne drammaticamente le spese.
Troppo spesso infatti viene chiesto ad un artista di
lavorare in maniera totalmente gratuita. Come se salire su un palco fosse una
opportunità unica, che ogni lavoratore dello spettacolo dovrebbe cogliere al
volo. Come se fosse una occasione irripetibile di visibilità. Come se fosse il
lavoro della nostra vita. È assurdo. Innanzitutto perché il palco è il luogo in
cui lavora un artista. Non lavora certo nella foresta amazzonica. E poi se un
cantante canta, un danzatore danza o un attore recita, di fatto sta lavorando.
Sta offrendo una prestazione professionale a tutti gli effetti. La sua
professione è quella, non altra. Pagare un artista sembra strano, perché lui si
diverte. Eppure non ci sogneremmo mai di andare da un medico o un avvocato e
non pagarlo. Però all’artista si può chiedere. Perché? È sbagliato, oltre che
offensivo verso la dignità umana di chi lavora e vive di arte. Come si pagano
avvocati, commercialisti o qualsivoglia altro tipo di libero professionista, si
deve pagare anche chi fa spettacolo. Mica usciamo da un negozio con un articolo
senza averlo pagato? Invece con l’arte si fa, quasi come fosse un’onta il
contrario. Ci si dimentica che per fare l’artista di professione ci vogliono
anni di studio e dedizione. Gli stessi che vengono richiesti ad un medico o a
un avvocato per laurearsi. Invece la gente crede il contrario. Come se chi fa
arte fosse un folle visionario che vive da saltimbanco. Questa mentalità è
soprattutto italiana e andrebbe estirpata. Perché, signori cari, siamo artisti
non la caritas. L’arte va pagata come tutti i lavori. Non è un hobby o una
perdita di tempo. È impegno e sacrificio. È una ragione di vita. È un lavoro.
Bello, bellissimo, anche divertente. Ma pur sempre un lavoro.
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