Quello che negli ultimi giorni riempie la vita del
sottoscritto è la costante presenza della modulistica per la scuola. Dalla
domanda per l’inserimento in terza fascia (le supplenze insomma), fino ai
moduli per l’improbabile test preselettivo del tfa (l’abilitazione). Lo faccio
controvoglia, lo ammetto. Ma nessuna possibilità va esclusa. Soprattutto oggi,
soprattutto per noi trentenni.
Non immaginavo però una serie di cose che ho visto e
vissuto in questi giorni. Sono grottesche. Fanno ridere. Ma il sorriso è nero.
Molto nero.
Innanzitutto è bizzarro che, a chi ha un dottorato,
la legge italiana non dia nessun beneficio, se non dodici punti in più. Tre
anni di ricerca e didattica universitaria non servono praticamente a nulla. Perché
se per legge ogni dottorando è tenuto alla didattica universitaria, per quella
stessa legge non può insegnare a scuola, né può considerarsi già abilitato.
Nonostante sia vincitore di un concorso di livello superiore e nonostante,
paradossalmente, abbia insegnato in varie forme all’università. Non voglio
estendere il discorso alle pubblicazione scientifiche internazionali, perché
quelle non vengono neanche considerate. Nemmeno un punto. Già! Un poverino che
porta avanti la ricerca, da cui nasceranno i futuri docenti scolastici, che ne
può sapere di come si insegna? Quello che conta sono i punti! E anche la
patente europea per il computer. Che… scherziamo?! Per la legge sono queste le
cose importanti che danno punti! E come me, in questa situazione, si trovano
centinaia di persone.
Ancora più bizzarro è che per lavorare a scuola si
debba fare un calcolo meticoloso e cervellotico di crediti. E se ne manca solo
uno, non si può insegnare. Come i punti della benzina, insomma. Questa
situazione è intrinsecamente connessa alla domanda per l’inserimento in
graduatoria, nella quale vanno inseriti gli esami sostenuti per il
raggiungimento dei crediti suddetti. Allegare un certificato storico, sarebbe
più veloce e sicuro. Invece no. Meglio scrivere fogli su fogli a mano. Del
resto, siamo solo nel 2014. Mica nel futuro?
Quando ci si approccia a questa realtà si scopre
un’altra cosa assai divertente e degna di nota. “Oggi si fa tutto on line” è il
mantra di chi bazzica già da tempo in questa realtà, e che magari prima faceva tutto
a mano. Comodo, penserete. Già. Peccato che, quasi a giorni alterni, i siti
preposti non funzionino. E allora chiediamo aiuto. Ma a chi? Non si sa. Ma davvero!
Nessuno lo sa.
E non parliamo del tfa. Le cui domande del test
preselettivo, per il quale bisogna pagare, sfidano l’inventiva e la sagacia del
miglior Mike Bongiorno d’annata.
Infine un’altra cosa di cui mi sono reso conto è che
queste domande le fanno tutti. Ma proprio tutti. Nessuno escluso. Perfino i più
insospettabili. Quelli che un lavoro già ce l’hanno. Quelli che lavorano nelle
aziende. Quelli che, non si sa perché, “facciamola, non si può mai sapere”.
Allora siamo davvero il popolo dei concorsi… e delle
domande.
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